AGROALIMENTARE SOSTENIBILE

Carciofi: 270 mila tonnellate di scarti l’anno. Start up studia laboratori mobili per sfruttarli

di Luca Zanini

Carciofi: 270 mila tonnellate di scarti l'anno. Start up studia laboratori mobili per sfruttarli

SEZZE (Latina) — Gli scarti dei carciofi? Un tesoro quasi inutilizzato. Ma il cui recupero – oggi oneroso e complesso - in futuro potrebbe rivelarsi economicamente vantaggioso. Se si considera infatti che in Italia vengono prodotti e consumati ogni anno circa 378 mila tonnellate di Cynara cardunculus (la raccolta è aumentata dopo la crisi del 2020, dati Ismea) e che gli scarti corrispondono a oltre il 60 per cento di quanto raccolto (fino al 75% nelle lavorazioni industriali), si può avere un’idea del giro d’affari ancora da sviluppare. Perché dagli scarti dei carciofi si possono trarre prodotti da rivendere, contribuendo al contempo alla lotta agli sprechi alimentari. Non solo: in futuro la loro lavorazione potrebbe contribuire ad emettere carbon credits per abbattere l’impronta carbonica delle aziende e consentire loro (dal 2025 sarà obbligatorio rispettare certi limiti nel bilancio di sostenibilità) di accedere ai finanziamenti bancari.

L’impatto ambientale delle aziende agroalimentari potrebbe essere abbattuto con l’acquisto di ‘carbon credits’. Come? Finanziando la trasformazione della biomassa di scarto frutto della lavorazione del Cynara cardunculus in 5 regioni italiane: l’idea di due ex studenti che produrranno farina di carciofo e la ricerca di investitori per creare un consorzio di riferimento

Ecco perché assumono particolare importanza esperienze come quella della start up veneto-friulana Circular Fiber , che lavora la parte erbacea più dura dei carciofi per produrre la Karshof, farina funzionale ad alta digeribilità, priva di glutine, a basso contenuto di zuccheri ma ricca di fibre (60%), proteine (13%) inulina e cinarina. Dunque in questo caso gli scarti vengono valorizzati e rigenerati in farina edibile che potrà poi «essere incorporata nella preparazione di pane, pasta, snack e pizze», sottolineano i co fondatori Luca Cotecchia e Nicola Ancilotto. Oppure quella della ricerca dall’Istituto Italiano di Tecnologia (in collaborazione con la Società Gestione Mercato ortofrutticolo di Genova e Ascom) che sul finire del 2018 presentò la bioplastica fatta con gli scarti del Cynara e dei pomodori. O ancora la produzione di biocarburanti promossa da Novamont che in Sardegna si fa con gli scarti dei cardi e del carciofo spinoso locale grazie ad una ricerca finanziata dall’Ue. Il progetto Biocardo (”Global process to improve Cynara cardunculus exploitation for energy applications”) punta all’uso della biomassa da scarti dei cynara come combustibile ma anche dell’olio di carciofo crudo per produrre biodiesel per motori a gasolio.

Carciofi: 270 mila tonnellate di scarti l’anno. Start up studia laboratori mobili per sfruttarli

I maiali di zio Pasqualino

Tutte queste potrebbero davvero essere soluzioni funzionali per rimpiazzare quella filiera originaria dei carciofi entrata in crisi negli ultimi anni. Un tempo quasi tutto quel che veniva scartato della pianta finiva ad alimentare i maiali. Oggi è più difficile: «Mio zio Pasqualino prendeva tutta la materia seconda che finisce nei secchi del verde dalle nostre cucine – racconta Marco Perciballe, erede di una dinastia di cuochi che ancora oggi lavora (nel solo ristorante Da Santuccio, a Colli di Sezze) circa 40 mila carciofi a stagione – e la portava nella sua porcilaia. Ma ora ha smesso perché non sta bene e siamo in difficoltà». Gli scarti di 40 mila carciofi non sono poca cosa e neppure la locale azienda di nettezza urbana si è mai strutturata per ritirare una tal quantità di rifiuti verdi. E ora che la stagione ricomincia (la raccolta invernale 2024 è iniziata in anticipo e questo fine settimana Da Santuccio propone già un menù con gli specialissimi ‘carciofi alla matticella’) il problema si ripropone. Un problema che sentono anche grandi aziende di lavorazione - sottolinea Ascenzo Bottoni – uno dei più noti produttori di carciofo nella zona Igp di Sezze, che lavora in azienda anche cynara mondati e precotti. «Soltanto noi ne abbiamo tonnellate ogni settimana: ho sentito che c’è un’azienda che li usa come combustibile, ma non è in questa zona. Così non ci resta che tritare i nostri scarti per farne fertilizzanti, il resto lo diamo come mangime a galline, maiali, conigli e pecore».

Cinquanta varietà e tante aree di produzione

Qui nel Setino ci sono almeno 200 ettari di coltivazioni a Cynara cardunculus, varietà «romanesco», uno dei migliori tra le oltre 50 varietà di carciofi nazionali — che vengono coltivate qui, a Ladispoli, in Veneto, Toscana, Puglia, Sardegna, Sicilia —, che nel Lazio valgono un fatturato di circa 18 milioni di euro l’anno. Fino a qualche tempo fa nella zona c’era una piccola azienda di Sezze che produceva un liquore di carciofi, un amaro setino, un po’ di scarti li ritirava. Ora però la produzione si è spostata a Segni, ai confini tra le province di Roma e Frosinone. Non meno semplice il trattamento degli scarti nella zona di Ladispoli. Né in Sardegna, da dove proviene il 21% della produzione nazionale di Cynara. Una parte degli scarti viene ritirata e lavorata da aziende che producono medicinali da piante, come Aboca, ma non rappresenta una quota significativa del possibile mercato.

Carciofi: 270 mila tonnellate di scarti l’anno. Start up studia laboratori mobili per sfruttarli

Dunque che fare? Gli ideatori di Circular Fiber - progetto nato a partire dalla tesi di laurea di 5 studenti del master MBA al MIB Trieste School of Management, e parte del progetto Terra Next di Fondazione Cariplo, che sostiene l’innovazione nell’ambito della bioeconomia e dell’agricoltura rigenerativa – spiegano che sì, all’inizio avevano pensato di dar vita ad una filiera del carciofo per sfruttare tutto lo scarto possibile, ma che si sono arresi di fronte all’evidenza: il prodotto è deperibile e non si può che lavorare quanto prodotto in zona.

Per questo per ora non si può creare una produzione da scarti che sfrutti più aree di produzione. Ed è un problema che riguarda non solo la filiera del carciofo, bensì tutte le filiere agricole se si pensa che il 30% della produzione di frutta e verdura dell’Ue viene perso o sprecato, causando ingenti perdite economiche ed enormi problemi ambientali. E che in generale la produzione alimentare è responsabile del 26% delle emissioni di gas serra.

Il colosseo dei surgelati Ottaviani e le biomasse

Ecco perché al momento, almeno per il carciofo, si vanno espandendo le iniziative per trasformare gli scarti in biomasse per la produzione di energia. Non lontano da Sezze, a Priverno, l’azienda di trasformazione Ottaviani Food lavora circa 100o tonnellate di carciofi a stagione: «In tre mesi produciamo circa 1900 tonnellate di scarti che al momento — spiega Valentina Ottaviani — vengono destinati ad uso zootecnico. Ma abbiamo in vista un accordo con un’azienda che tratterà biomasse». Una nuova start up sta per aprire uno stabilimento proprio nella zona dell’Agro Pontino, dove gli scarti verranno trasformati in energia. Ottaviani si trova fra Priverno e Pontinia, ma paradossalmente non lavora i carciofi di Sezze, «perché i cynara di Sezze sono troppo grossi per un certo tipo di lavorazione industriale — precisa Valentina —: noi facciamo solo surgelati (siamo una delle più grandi aziende italiane per la trasformazione di carciofi) e i macchinari sono progettati per carciofi più piccoli e affusolati. Per questo lavoriamo solo carciofi che arrivano dalla Puglia»

Sezze, il produttore di carciofi Ascenso Bottoni Sezze, il produttore di carciofi Ascenso Bottoni

Linee di lavorazione mobili

Invece - e Luca e Nicolò ci stanno pensando – varrebbe la pena aprire piccole succursali con laboratori di lavorazione locale presso diverse aree di coltivazione e raccolta dei carciofi. Nel frattempo, una grande azienda di surgelati, sta studiando il modo di disidratare gli scarti per lavorarli in seguito. Così un prodotto ecosostenibile e con spiccate proprietà nutrizionali, potrebbe diventare base di una lavorazione secondaria industriale, coniugando la produzione su larga scala con un processo a basse emissioni di CO2. Ma anche in questo caso il limite è negli impianti di lavorazione: «Noi abbiamo — spiega Luca Cotecchia di Circular Fiber — un brevetto di processo che sta in piedi perché uno dei grandi trasformatori della zona è entrato nella nostra società. Ma un impianto per la lavorazione degli scarti dell’ortofrutta ha costi molto alti: parliamo di 1,5 milioni di euro a modulo». E senza i ‘moduli mobili’ non si può lavorare per la farina lo scarto del carciofo che «è abbastanza ostico per quanto concerne sua essicazione: parte infatti da un tasso di umidità dell’80% e per poter produrre la Karshof dobbiamo arrivare a una fibra secca al 7% di umidità». Servono dunque speciali essiccatori. Quelli usati per la pasta non bastano, perché impiegano 24 ore per far scendere l’umidità al 12%. Meglio quelli del tabacco, che ne tolgono il 75% in pochi minuti.

Il logo registrato da Circular Fiber per la nuova farina di carciofo Karshof Il logo registrato da Circular Fiber per la nuova farina di carciofo Karshof

Evitare trasporti costosi e poso sostenibili

A parte il costo di questi impianti, quel che manca è una filiera degli scarti del carciofo, che potrebbe costituire un volano per attrarre gli investimenti delle start up disposte a investire su quanto resta del Cynara dopo lo sfruttamento alimentare. Tanto che gli stessi imprenditori di Circular Fiber preferiscono per ora affidarsi al nuovo socio, «importante produttore di scarti di carciofo, con sede a meno di un km da dove sorgerà il nostro stabilimento, in provincia di Venezia». Tutta la materia prima arriva dalle zone limitrofe - in modo da evitare lunghi trasporti, costosi e inquinanti - e viene trasformata in tempi brevi, abbassando costi e mantenendo alta la qualità.

Carciofi: 270 mila tonnellate di scarti l’anno. Start up studia laboratori mobili per sfruttarli

Il tema degli scarti vegetali è forte anche in Puglia, dove operano colossi del settore come Fiordelisi (68% di fatturato nell’export), che nel 2023 ha raddoppiato i volumi. Mentre Orogel – che controlla il 70% dei carciofi surgelati venduti in Italia – sta potenziando lo stabilimento di Policoro con un investimento da 45 milioni (entro il 2026) per lavorare i Cynara coltivati su 800 ettari tra Basilicata, Puglia e Campania. Proprio in Puglia (un totale di 12.130 ettari a carciofi) due anni fa il Progetto Icarus proponeva di organizzare «il recupero dei residui colturali e degli scarti della lavorazione da destinare all’ottenimento di nuovi prodotti». Se ne trova cenno anche nel nuovo spot diffuso a fine gennaio, in cui si sottolinea lo sforzo per «il recupero degli scarti di lavorazione e dei residui colturali» nel tentativo di realizzare una filiera produttiva a ciclo chiuso.

L’idea di un consorzio di riferimento

Posto che adesso «noi non andremmo mai a rifornirci neppure a 100 chilometri di distanza (non sarebbe coerente con la nostra etica) — sottolineano Nicola e Luca di Circular Fiber — abbiamo in cantiere un’idea per esplorare la possibilità di produrre direttamente nei luoghi dove si coltivano e lavorano i carciofi». Si fa strada l’ipotesi di creare «un consorzio di riferimento grazie al nostro modulo mobile che aprirà alla possibilità di lavorare gli scarti direttamente in loco». Prevede Luca: «Questo ridurrebbe molto gli spostamenti, ben sotto i 100 km, cosa fattibile in poco tempo con o senza (se la farina non è per consumo umano) camion refrigerati... Potremmo così creare piccole unità mobili per produrre e fornire la farina di carciofi a km zero garantendo una filiera con un’impronta di carbonio negativa, abbattendo sprechi di energia non necessari». E precisa: «Stiamo cercando di lavorare su un modulo mobile che non copra solo carciofo ma vada bene anche per chi trasforma pomodori, carote eccetera».

Investimenti: serve l’interesse di grandi aziende

Chi fa questo genere di lavorazioni, quindi, «potrebbe usare i nostri moduli per ottenere carbon credits e abbattere la propria impronta carbonica aziendale». E in questo caso davvero grandi aziende come Orogel, Ottaviani, Coam Industrie Alimentari, Fratelli Piras, Cericola, Perna o Sicilia Naturosa potrebbe avere interesse ad investire nei moduli di lavorazione degli scarti, che probabilmente verrà dato in licensing. Insieme potrebbero affrontare gli ingenti investimenti: si pensi che soltanto in Puglia servirebbero 5-6 linee di lavorazione per tre-quattro mesi l’anno; per un totale di quasi 9 milioni di euro. Ma anche produttori come Ascenzo Bottoni e operatori della ristorazione come Marco Perciballe di Sezze sarebbero pronti ad accogliere i ragazzi di Circular Fiber. «La settimana prossima proveremo a contattarli per seguire i loro progressi», assicurano.